Bosko Jurkovic, capitano del Fellette in Terza categoria, è questo e molto di più. Basta ascoltarlo mentre si racconta rientrando dal lavoro (è responsabile dell'ufficio produzione di un'azienda del settore enologico). Una carriera, ancora in corso alla soglia dei 41 anni, iniziata a Spalato nella scuola calcio dell'Hajduk («mi facevo 7/8 km a piedi per andare a giocare»). A 9 anni, invece, con i suoi genitori («non li ringrazierò mai abbastanza per ciò che hanno fatto per me») arriva in Italia, a Rosà, pochi mesi prima che nella sua Croazia scoppiasse la guerra.
Qualità Le sue qualità non passano inosservate, ma per due anni «potevo solo allenarmi e giocare le amichevoli in quanto l'iter per il tesseramento degli extracomunitari era complesso». Brucia comunque le tappe: Bassano, Rosà, dove 16enne debutta in Promozione, un provino con l'Atalanta («arrivato in un momento sbagliato»), Tezze sul Brenta («dove per la prima volta ho scoperto cosa significa vincere un campionato»). Qui la vera "porta scorrevole". «Decisi di scendere dalla Serie D alla Seconda, a Travettore. Scelsi un percorso che tuttora non voglio rinnegare; significa che la vita mi aveva riservato questo destino. Certo, se a quell'epoca avessi avuto la testa che ho adesso...».
Orgoglio e talento Bosko gioca, segna, si sposta a Breganze, dove vince ancora. Nel frattempo però... «Nell'ambiente vengo etichettato come una "testa calda" e questo un po' mi penalizza». Ma gli spalanca pure le porte di una favola: il Campese. «Non sapevo neanche dove fosse questo posto e, invece, lì ho trovato la mia famiglia calcistica». E mentre ne parla si commuove. Orgoglio e talento, certo, ma lui ci mette anche il cuore. Da assaporare l'aneddoto sulla cavalcata nel Trofeo Regione Veneto. «L'obiettivo era il campionato (conquistato d'un soffio sul Cartigliano), la coppa lo è diventata per caso. Finito il lavoro, Christian Grego e io, prima di ogni partita, ci davamo appuntamento al patronato per bere un paio di bicchieri di vino. E ogni volta funzionava. Fino al giorno della finale. Che fare? Non potevamo rinunciare a questa cabala e allora siamo stati insieme dal pranzo alla sera. Com'è finita? 2-0, gol di Grego e raddoppio mio con slalom e tiro nel sette!». Seguono un'annata tribolata, la cessione del titolo, la ripartenza dalla Terza come Real. Altro "double". Una salvezza all'ultimo respiro. E poi la favola finisce, come la società. Non le amicizie. «Abbiamo ancora un gruppo su Whatsapp, i "Galacticos"».