I primi dribbling, Denis Lattenero, comincia a farli all'asilo, eludendo i "marcatori" dell'epoca. «Scappavo alle suore e mi nascondevo nella sala dei giochi; lì staccavo le teste alle bambole o smontavo i Lego e li calciavo da tutte le parti».
Un amore per il calcio incondizionato, quello del 32enne attaccante di Villafranca Padovana da quest'anno in forza al Quinto Vicentino (Seconda girone G), che sgorga ad ogni singola parola della chiacchierata. Al calcio "Latte" ha dato tutto. E il calcio, all'inizio, aveva fatto altrettanto: a 9 anni l'interesse di Padova e Lanerossi («scelsi i biancoscudati per comodità»), poi nazionali giovanili, finale nel campionato Berretti e il salto in prima squadra. «Nel 2007 ho esordito nel Padova, in Coppa Italia di Serie C». Sembrava il naturale sbocco dopo essere cresciuto nel vivaio. E invece... «Giocando con la Berretti il ginocchio sinistro fa crac e perdo quasi l'intera stagione». In estate il Padova lo cede in prestito al Montecchio Maggiore, in Serie D. «Avevo rifiutato offerte importanti da club del sud Italia pensando di rimanere e avere un'altra occasione. Fu un'annata tutt'altro che esaltante e da lì ho iniziato a girare».
Continuando però a gonfiare le reti avversarie con le maglie di S. Paolo, Casalserugo, Mestrino, dove vince campionato e Trofeo Veneto, Azzurra Due Carrare. Ma quel ginocchio cede ancora. «A Grisignano, alla 1a di ritorno, salta il crociato. Operazione e quasi un anno per recuperare». Il rientro nel Campetra, ma indovinate cosa accade? «Il ginocchio non guarisce e serve un nuovo intervento. In tanti mi hanno detto "ma chi te lo fa fare?". La passione è più forte e a gennaio dell'anno successivo sono di nuovo in campo». Quattro partite, tre gol e poi arriva il covid-19 che blocca sul nascere anche il torneo seguente, con il Ronchi, non prima che Lattenero rifili una tripletta proprio al Quinto. «Ho sposato il progetto; mister Giaretta e i compagni mi hanno subito accolto e io cerco di mettere a disposizione la mia esperienza». E i gol. Già 14. Incluso quello che doveva chiuderne all'istante la carriera. «Una volta dissi agli amici che se avessi segnato di testa avrei smesso di giocare al termine di quella partita. Con il piede destro è il mio punto debole; incredibilmente è accaduto a febbraio, contro il Montecchio Precalcino». Ad ogni rete, un'esultanza speciale. «Per nonna Udilla. Ogni volta bacio il tatuaggio che ho realizzato per lei».
Ma non è l'unico tattoo dedicato alla famiglia. «Ci sono quelli per papà Paolo, mamma Antonella, le mie nipotine, anzi le mie "pesti", Angelica e Alice e le mie sorelle Alessia e Stefania (calciatrice con cui nel salotto di casa dava vita a memorabili 1vs1)»
Il segreto di "Latte": «Dopo le marachelle dribblavo le suore»
