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Le storie

di Marta Benedetti

Testa e cuore Bissarese Rinaldi, psicologo in campo

La storia 05 mag 2023

Per lui il calcio è una questione di gruppo e il rapporto coi compagni è ciò che anche nei periodi più duri non gli fa appendere le scarpette al chiodo. Anche per questo Lorenzo Rinaldi, difensore centrale classe 2000 non ha mai lasciato la squadra del paese, la Bissarese, dove gioca fin da quando era piccolino. «Gioco da sempre - racconta - ed essendo di Costabissara non mi sono mai mosso dalla società, perché sono sempre stato bene. Ho smesso il primo anno di università a Verona, perché ero pendolare e spaventato dai troppi impegni, tra studio, lavoro e calcio. Ho voluto prendermi un anno per vedere e decidere, ma mi è mancato, poi col Covid mi sono trovato a casa e con la voglia di ricominciare».

Molto più del brivido del campo e della competizione, a mancargli era proprio il rapporto coi compagni. «Per me è sempre stato un gioco, ho sempre dato tutto, anche quando in Terza prendevamo tre o quattro gol a partita, ma spogliatoio, gruppo e amicizia sono ciò per cui gioco ancora adesso. La categoria non m'interessa, è vero che giocare un bel calcio e vincere mi piace e mi arrabbio se perdo, ma m'interessa molto di più trovarmi bene in spogliatoio. Questo è un momento con tanti impegni, a volte l'allenamento e la partita pesano, ma il gruppo va oltre il puro calcio».Anche il ruolo è sempre stato quello fin da piccolino, il difensore centrale, ultimo baluardo prima della porta.

«Da quando ricordo ho sempre ricoperto quel ruolo. Da piccolo forse ho provato a fare gol, ma la tecnica era quella che era. Non sono molto alto, ma punto tutto sull'aggressività e la grinta».Non è tifoso di una squadra in particolare, ma ha un giocatore che apprezza particolarmente «Sergio Ramos, mi è sempre piaciuto come persona, immagine e ovviamente come giocatore».Fuori dal campo è uno studente al terzo anno di psicologia del lavoro e sta facendo tirocinio nelle risorse umane a Leroy Merlin. «La psicologia è sempre stata il mio sogno, ma al primo anno ho seguito il consiglio dei professori e della mia famiglia di andare a lettere, spaventato dalla lunghezza del percorso. Durante il Covid ho riflettuto, sono passato a psicologia ed è tutta un'altra cosa. Ho avuto molte soddisfazioni e voglio continuare con la specialistica, perché anche se lo psicologo del lavoro è una figura molto richiesta i candidati sono tanti e una specializzazione in più fa sempre comodo».

La sua vocazione, però, non è appunto quella del terapeuta, ma di un altro tipo di psicologia. «Non sono mai stato portato per quella che cura la persona, ma mi è sempre interessato l'ambito psicologico che può essere applicato al sociale, alle comunità e al lavoro». In campo però non utilizza la psicologia contro gli avversari. «Lo faccio invece nei rapporti con i compagni, l'allenatore o i collaboratori, come nella vita. In campo conta di più l'esperienza, poi è bella anche l'imprevedibilità. Ti godi il momento nel bene e nel male». Il momento più bello è stato «la promozione dell'anno scorso, per il gruppo, com'è stata costruita e come abbiamo festeggiato. Impagabile».